Roberto Assagioli: psicosintesi, teoria e influenze mistiche

Assagioli ha creato un modello di psiche umana e di psicologia con evidenti influenze che comprendono misticismo, filosofia orientale, psicoanalisi e logica occidentale. Per lui era importante che la psicosintesi rimanesse scientifica. Con essa Assagioli ha magistralmente creato una sintesi tra le tradizioni filosofiche e religiose orientali e occidentali, riuscendo in un lavoro di astrazione dei principi fondamentali comuni. Una sintesi che spazia tra religione e scienza, Freud e Jung, spirito e materia, macrocosmo e microcosmo.

Egli praticava Yoga, (Hatha e Raja) e vari tipi di meditazione. Si interessava di Teosofia e fu ispirato dal misticismo e dall’esoterismo orientale e occidentale. Sia la madre che la moglie erano addentrate nella teosofia. E la fonte della Teosofia dalla tradizione indù / neoplatonica influenzò profondamente il suo pensiero. La similitudine con le tradizioni mistiche orientali e occidentali è evidente per esempio nella sua concezione del Sé, che ricorda molto la descrizione orientale di “Atman”.

Negli anni ebbe vari contatti che gli consentirono di approfondire la sua conoscenza delle tradizioni spirituali. Incontrò il filosofo ebreo Martin Buber, gli esoteristi Ouspensky e Alice Bailey, il buddista Lama Govinda, il poeta indiano Rabindranath Tagore, l’astrologo Dane Rudhyar, il mistico sufi Inhayat Khan, il maestro Buddhista Suzuki, il fondatore della logoterapia Victor Frankl e lo psicologo umanista Abraham Maslow.

Alcuni credono che la psicosintesi sia una versione scientifica della teosofia di Alice Bailey, esoterista con la quale Assagioli lavorò personalmente. Però con la quale iniziò una collaborazione solo a partire dagli anni ’30, quando già aveva sviluppato gran parte della sua teoria. Poco sappiamo di questo perché, Assagioli manteneva il silenzio sulle sue frequentazioni e il lavoro teosofico. Infatti temeva si creasse confusione e che la psicosintesi fosse confusa con una religione e scientificamente rifiutata e derisa.

Assagioli fa anche diversi riferimenti ai mistici occidentali, come Giovanni della Croce e San Francesco d’Assisi.

All’interno della psicologia occidentale non c’è dubbio che William James, C. G. Jung e Viktor Frankl fossero suoi compagni spiritualmente vicini.

Quindi la psicosintesi è e rimane un approccio psicologico e scientifico anche se sicuramente ha avuto influenze religiose e filosofiche.

“Capire i concetti di base dei Veda è stato per me importante per capire la psicosintesi transpersonale. Ma a qualunque religione un individuo appartenga può sempre ritrovare nella psicosintesi i concetti di base del proprio credo”. Assagioli aveva una vasta cultura e attingeva a tutte le tradizioni mistiche e filosofiche. Con la sua grande capacità di astrazione e sintesi ha estratto da esse dei principi universali validi per tutti gli esseri umani in tutte le epoche.

“Abbiamo ora raggiunto il quindicesimo gruppo di simboli, quello della risurrezione e del ritorno, quello che nei vangeli viene indicato come il ritorno del figliol prodigo alla casa del padre. Questo è un ritorno a uno stato precedente e punta a un ritorno all’essere originale primordiale.

Ciò presuppone una teoria emanatistica dell’anima, che scende, diventa un tutt’uno con la materia, e poi ritorna alla sua “casa”, la patria celeste – non come era prima, ma arricchita dall’esperienza di auto-consapevolezza che è maturata in fatica e conflitto”.

R. Assagioli, Transpersonal Development

“Nosce te Ispsum”, secondo i grandi maestri

Conosci te stesso o “ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ” è un iscrizione che campeggiava sul frontone del tempio dell’oracolo di Apollo a Delfi. Tre parole facili da enunciare, ma difficili da comprendere. Tutti i grandi mistici occidentali e asceti orientali, hanno sempre insistito su questo profondo insegnamento. Nel più profondo dell’essere umano è nascosto un principio universale, comune a tutti gli esseri viventi e, quando l’uomo, dopo un lungo e arduo percorso, ne assume consapevolezza, si libera per sempre dall’illusione del mondo sensibile e dalle catene che lo legano al mondo materiale, regno del male e della sofferenza.

Ma come è indotto questo concetto nelle parole dei grandi maestri?

«Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell’interiorità dell’uomo abita la Verità». (Sant’Agostino)

«Quando conoscerete voi stessi, sarete conosciuti e saprete che siete figli del Padre Vivente. Ma se non conoscerete voi stessi, allora sarete nella privazione e sarete voi stessi privazione». (Vangelo di Tommaso)

«Chi vuole penetrare nel fondo di Dio, in ciò che ha di più intimo, deve prima penetrare nel fondo proprio, in ciò che ha di più intimo, giacché nessuno conosce Dio se prima non conosce se stesso». (Maister Eckhart)

«La vostra visione diventerà chiara solo quando guarderete nel vostro cuore. Chi guarda all’esterno sogna. Chi guarda all’interno apre gli occhi». E ancora, insiste lo stesso autore: «Solo il viandante che ha peregrinato nel suo infinito mondo interiore potrà accostarsi all’anima scoprendo che, per anni, non ha fatto altro che cercare Lei, perché Lei è dietro e dentro ogni cosa». (Carl Gustav Jung)

«L’uomo, dopo la sua vana ricerca di Dio fuori se stesso, completa il cerchio e ritorna al punto d’inizio l’anima umana; e scopre che il Dio che cercava per mari e monti, in ogni ruscello, in ogni tempio, in chiese e cieli, che il Dio che immaginava essere seduto in cielo a governare il mondo, era il suo stesso Sé. Io sono Lui, Lui è Me. Nulla è Dio se non Io, e questo piccolo “io” non è mai esistito». Anche se noi possiamo essere paragonati solo alla scintilla divina che in noi, e non a Dio. Lo stesso mistico indiano incalza: «Tutti i poteri dell’universo sono già dentro di voi. Siete voi che vi siete coperti gli occhi con le vostre mani. Vi lamentate che è buio. Siate consapevoli che intorno a voi non ci sono tenebre. Togliete le mani dai vostri occhi e apparirà la luce, che era lì da un’eternità». E infine: «E’ davvero uno Yogin chi vede se stesso nell’intero Universo e l’intero Universo in se stesso».(Swami Vivekananda)

«I due concetti, realizzazione del Sé e conoscenza di Dio, sono sinonimi».(Paramahansa Yogananda)

«Questo supremo Brahman, anima universale, immensa dimora di tutto ciò che esiste, più sottile di ogni cosa sottile, costante: in verità é te stesso, perché tu sei Quello». (Kaivalya Upanishad)

«Quando mi identifico con il corpo, o Signore, sono la tua creatura, eternamente separata da Te. Quando mi identifico con l’anima, sono una scintilla di quel Fuoco Divino che Tu sei. Ma quando mi identifico con l’Atman, io e Te siamo una cosa sola».(Dal Ramayana)

Concludiamo questa breve rassegna, con un testo di origine sconosciuta:

«Ti avverto, chiunque tu sia: oh tu che desideri sondare gli arcani della Natura, se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi, non potrai trovarlo nemmeno fuori. Se ignori le meraviglie della tua casa, come pretendi di trovare altre meraviglie? In te si trova occulto il Tesoro degli Dei. Oh Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei».

Il concetto “nostalgico” di paradiso da Est a Ovest

Tutti cercano il loro paradiso. Durante il Medioevo, mentre i cristiani europei credevano che il Giardino dell’Eden si trovasse in estremo oriente, nello stresso estremo oriente i buddisti pensavano a un paradiso occidentale, ritenevano cioè che una terra felice si trovasse proprio nell’estremo occidente, che per loro era dalle parti dell’Europa.

L’erba del vicino, in questo caso «del lontano», è sempre più verde. Il paradiso non è da nessuna parte, eppure sembra essere ovunque, nonostante quello che diceva Yuri Gagarin, che, uscito dalla navicella spaziale, si vantava di essere stato in cielo, ma di non aver visto né Dio né il paradiso.

In realtà tutte le religioni hanno un paradiso, e tutti i popoli per uno stato felice situato agli inizi, o l’anelito per una gioia infinita da aspettarsi alla fine. Tutte le civiltà hanno immaginato uno stato paradisiaco, un luogo paradisiaco, un tempo paradisiaco. Nella Bibbia degli ebrei e dei cristiani questo luogo si chiama Giardino dell’Eden. Ci sono però anche i Campi Elisi, il Giardino delle Esperidi, l’Isola dei Beati, le Isole Fortunate, Atlantide, il Frita Yuga, il regno di Ra e di Isis, l’isola di Avalon, il Monte Meru, il regno di Saturno e la Montagna di Heredom.

Questa nostalgia del paradiso prende tanti nomi e assume tante forme. Eppure il paradiso resta sempre altrove, sempre inaccessibile, sempre fuori dal tempo…il paradiso, a seconda delle varie opinioni, è esistito ieri, durante l’età dell’oro, in un tempo meraviglioso, oppure tornerà domani, quando il mondo finirà e avremo il paradiso in terra.

Oppure è già qui, da qualche parte, soltanto dietro l’angolo, magari oltre oceano, in un’isola remota che però non possiamo raggiungere…

A. Scafi, Alla scoperta del paradiso: un atlante del cielo sulla terra, 2012.

Il Velo di Maya tra induismo e filosofia occidentale

Come erroneamente, spesso, si crede, il concetto di “Velo di Maya”, non proviene dalla tradizione induista, ma è un concetto introdotto dal filosofo occidentale Arthur Schopenhauer nel secolo diciannovesimo.


Nell’Induismo il termine sanscrito Maya, indica, genericamente, quel magico potere divino che crea mille forme ed esperienze delle quali l’uomo è irrimediabilmente prigioniero, scambiando per reale, un sogno ingannevole e illusorio.


Maya è quasi un fantasmagorico gioco magico che cela, l’immutabile Principio Assoluto, il Brahman, creando l’illusorio mondo materiale. Schopenhauer, grande studioso delle filosofie orientali, conscio che il mondo materiale è solo apparenza, illusione e sogno, afferma, ripetutamente, nei suoi saggi che, tra noi e la vera realtà, è come se vi fosse uno schermo che ce la mostra distorta e non come essa è veramente: il Velo di Maya.


La nostra “realtà” è dunque, secondo Schopenhauer, una “rappresentazione” che ha due aspetti essenziali: il soggetto rappresentante e l’oggetto rappresentato. Entrambi esistono soltanto all’interno della rappresentazione, come due lati o parti di essa, tanto che non può esistere soggetto senza oggetto.


Il filosofo, riconosce l’esistenza di una forza cieca, che egli denomina come Volontà, analoga alla Maya induista: una forza priva di finalità, arbitraria, causa dell’esistenza della rappresentazione bipolare caratterizzata dal dualismo Soggetto-Oggetto, che causa una insaziabile attaccamento al mondo irreale ed illusorio in cui siamo immersi.


Rimanendo fedele, alle concezioni filosofiche orientali, Schopenhauer afferma che attraverso la “Liberazione”; esiste la possibilità di squarciare il Velo di Maya, cioè di uscire dalla condizione umana. Il primo passo per conseguire questo stato è quello di prendere consapevolezza che si sta vivendo nell’illusione: occorre dunque uscire dall’ambito puramente fenomenico e sottrarsi al dominio della Volontà, che impedisce all’essere umano di fare esperienza della Verità, del principio assoluto di realtà.

A. Shopenhauer, “Il Mondo come Volontà e Rappresentazione

Platone e il mistero di Atlantide

Attualmente esistono solo due testi che citano il mitico continente di Atlantide e sono stati scritti entrambi da Platone: Il Timeo e il Crizia. Sappiamo che Platone, soggiornò, per ben tre anni in Egitto ed ebbe numerosi contatti con l’Oriente e che, molto probabilmente visitò spingendosi ad est, anche l’India. Le pagine che seguono sono quelle del Timeo dove il filosofo, tratta del mistero di Atlantide.

«Solone, voi Greci siete come dei bambini, un vecchio fra i Greci non esiste! Siete tutti spiritualmente giovani, perché nelle vostre menti non avete nessuna antica opinione formatasi per lunga tradizione e nessuna conoscenza incanutita dal tempo. E il motivo è questo: avvennero e avverranno ancora per l’umanità molte distruzioni in molti modi, le più grandi con il fuoco e l’acqua, e altre minori per infinite altre cause. Molte dunque e grandi sono le imprese registrate qui che di voi si ammirano; ma ce n’è una che le supera tutte per importanza e valore.

Dicono infatti i nostri testi che la vostra città arrestò un enorme esercito, che con prepotenza stava avanzando contro tutta l’Europa e l’Asia insieme, proveniente da fuori, dal mare Atlantico: allora infatti quel mare era navigabile, perché c’era un’isola di fronte allo stretto chiamato (come dite voi) Colonne d’Eracle. Quell’isola era più grande della Libia e dell’Asia messe insieme; e da essa i naviganti di quel tempo potevano passare sulle altre isole, e da esse su tutto il continente opposto intorno a quello che allora era un vero e proprio mare. Infatti, tutto quanto si trova al di qua dell’imboccatura di cui stiamo parlando, sembra un porto con una foce stretta; ma di là c’è veramente il mare, e la terra ferma che lo circonda si potrebbe perfettamente considerare un continente.

In quest’isola di Atlantide si era formata una grande e straordinaria monarchia, che dominava tutta l’isola e anche molte altre isole e regioni del continente; inoltre governava, da questa parte dello stretto, la Libia fino all’Egitto, e l’Europa fino alla Tirrenia. Questa potenza dunque, concentrate tutte le sue forze, si accinse un tempo ad asservire d’un sol colpo la vostra e la nostra terra e tutta la regione al di qua dello stretto. Proprio in quel tempo, Solone, la potenza della vostra città divenne famosa fra tutti gli uomini per valore e forza.

Sopravanzando infatti tutti quanti nella generosità e nelle arti belliche, prima a capo dei Greci, poi inevitabilmente da sola, perché gli altri si erano ritirati, pur essendo giunta all’estremo pericolo riuscì a sconfiggere gli invasori e a trionfare su di loro, e impedì che fossero fatti schiavi coloro che non erano ancora mai stati asserviti, mentre diede generosamente la libertà a tutti noi, che abitiamo al di qua dei confini di Eracle.

«Ma in seguito si verificarono immensi terremoti e cataclismi, al sopraggiungere di un sol giorno e di una sola notte terribili, in cui il vostro esercito fu inghiottito tutto quanto dalla terra, e anche l’isola di Atlantide s’inabissò nel mare e sparì: ecco perché, anche ora, quel mare risulta ormai inaccessibile e inesplorabile, essendoci l’ostacolo del fango dei bassifondi che l’isola depositò inabissandosi».

Platone, Timeo, I, III

Alchimia e Kabbalah fra Oriente e Occidente

Gershom Scholem è stato, fino alla data della sua morte, avvenuta a Gerusalemme nel 1982, il più grande studioso ed esperto di dottrine cabalistiche.

In questo testo, due tradizioni segrete ed esoteriche, quella occidentale dell’alchimia e quella orientale del cabalismo, si intrecciano e sono poste a confronto nel tentativo di chiarire quali siano state nei secoli le reciproche influenze. Un quadro limpido e di alto valore scientifico che investe temi presenti anche nella storia rinascimentale italiana e in tutta la storia europea fino all’epoca attuale.

Innanzitutto l’autore ha ritenuto indispensabile depurare dai materiali esaminati la vasta congerie di ciarlatani e falsi occultisti, come Eliphas Levi e Aleyster Crowley che, hanno invaso con le loro invenzioni le analisi, dando origine ad un’informazione deviata e mistificatoria che perdura ancora oggi.

Il termine ebraico qabbalah comincia a essere utilizzato intorno all’anno mille con il significato di “tradizione” da un verbo qibbel, che vuol dire “trasmettere” un oggetto o nel caso specifico, una dottrina riservata, dalle mani di un gruppo di sapienti a quelle di persone che vengono iniziate.

Nella storia religiosa giudaica, tuttavia, il termine ha significato l’interpretazione mistica e segreta, teorica e operativa, della fonte biblica e delle numerose opere prodotte dagli Ebrei nel Medioevo.

La cabala presenta due aspetti principali, uno inteso a chiarire ed approfondire il mistero della creazione dell’uomo e del mondo, attraverso la parola di Dio (ed è questa la “via” o “opera” della creazione); e l’altro diretto a realizzare sulla base della lettura dei testi, tecniche particolari di carattere estatico che, portate al loro apice, sono destinate a operare un particolare contatto con il piano divino e a procurare nel praticante stati superiori di coscienza extrasensoriale e addirittura capacità di compiere miracoli di tipo magico (ed è, questa, detta “via” o “opera” del Trono o della Gloria). Intorno a questi due indirizzi, vengono a strutturarsi opere fondamentali quali il Libro del Fulgore (Sefer ha-Bahir) e il Libro dello Splendore (Sefer ha-Zohar), ambedue ampiamente utilizzate in quest’opera da Scholem.

Per penetrare nel tema centrale trattato, bisogna aver presente che il citato Libro dello Splendore espone fra l’altro, una ricca teoria sugli attributi e le emanazioni di Dio, detti sefirot, costituiti a coppie parallele e oppositorie che vanno dalle entità prossime a Dio fino al suo sesso (yesod). Si scopre così che nell’età medioevale già in taluni scritti precabalistici viene a crearsi un rapporto omologante tra le sefirot e i metalli che costituiscono l’oggetto dell’alchimia e che presumono una loro progressiva e segreta trasmutazione fondata sul principio dell’unità di tutta la materia e tendente a realizzare l’oro a partire dai metalli inferiori, soprattutto il piombo, attraverso la cosiddetta “pietra filosofale”. Tutto il discorso alchimico, però, quando non è diretto ad attuare una trasmutazione per provocare l’arricchimento del praticante, attribuisce ai vari metalli un significato metafisico e etico, opponendoli così ai metalli reali. Si parlerà, per esempio, di “mercurio dei filosofi” che è ben diverso dal noto elemento chimico, e così via per tutti gli altri metalli.

La scoperta di Scholem è stata che nella rilettura cabalistica dell’alchimia e nelle conseguenze metafisiche di essa, gli elementi chimici non sono sottoposti alla corrente valutazione alchimista occidentale e il metallo principale che il cabalista intende realizzare come supremo non è l’oro che, identificato con il sole, passa in secondo ordine, bensì l’argento che corrisponde al bianco e alla luna. Le influenze ebraiche si faranno sentire soprattutto nelle teorie magiche di Giovanni Pico della Mirandola, il quale aveva approfondito alcuni aspetti della cabala immaginando che attraverso di essa avrebbe potuto portare gli Ebrei alla conversione, come se quella disciplina giudaica contenesse in nuce talune suggestioni cristiane.

Nei secoli successivi la connessione tra queste due discipline occulte divenne sempre più intima e diede origine a una vera e propria alchimia cabalistica nella confusione e fusione di tutte le teorie magiche che portarono alla cosiddetta pansofia studiata da Peuckert nelle sue opere.

Queste curiosità di mondi eccezionali e rivelati che furono al centro delle culture europee nei secoli scorsi, appaiono oggi cadute nel disinteresse, e le trattazioni di alchimia diffuse anche recentemente trascurano la relazione segnalata da Scholem.

G. Scholem, Alchimia e Kabbalah, 1995.

La “Regola aurea” e la religione dell’umanità

Che cos’è la Regola d’oro? O “Regola aurea”. È una legge unica nel suo genere, perché “sembra esprimere un’intuizione fulminante e nello stesso tempo accessibile ad ogni conoscenza e coscienza umana”, in quanto è presente in tutte le principali correnti religiose e sapienziali delle diverse culture del mondo.

Per questo si può ben definire anche come la sintesi di codici etici universali. La presenza della Regola d’oro, secondo studi recenti,risale al 3000 a.C. dove nella tradizione vedica indiana si trova scritto: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te; e desidera per gli altri quello che desideri e aspetti per te stesso”.

Una delle più antiche citazioni della Regola d’oro, la troviamo nel filosofo Confucio, vissuto in Cina tra il VI e V secolo a.C. Nel giudaismo, invece, troviamo la Regola d’oro dal 200 a.C. nel libro di Tobia, ma sarà l’insegnamento di Gesù Cristo a formularla nella sua versione positiva: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te.”

In età medievale verrà inserita nella Regola di san Benedetto prima, e nella Regola non bollata di san Francesco d’Assisi poi.

Come ricorda il filosofo Vigna, la Regola d’oromerita ai nostri tempi un’attenzione particolare, non è, in sé e per sé, una regola religiosa, ma una Regola “laica” e, aggiungiamo noi, una solida base per la costruzione di una religione universale dell’umanità.

In conclusione, allenandoci insieme, ovunque, all’esercizio della Regola d’oro, in continuità con le più antiche tradizioni culturali e religiose del mondo, potremo rispondere alla stretta necessità delle donne e degli uomini di ritrovarsi insieme in un percorso esistenziale nel quale la fraternità universale, sia una scelta consapevole e condivisa.

T. Tatransky, La Regola d’oro come etica universale, Milano 2006, p. 643.

Alexander Lowen e la “Bioenergetica”…

Alexander Lowen (23 dicembre 1910 – 28 ottobre 2008) è stato uno psicoanalista e psichiatra statunitense.
Fu allievo di Wilhelm Reich negli anni quaranta ed è considerato, il principale continuatore della sua scuola scientifica. Negli anni cinquanta a New York ha fondato la scuola terapeutica nota come Analisi bioenergetica (fu direttore dell’International Institute for Bioenergetic Analysis).

L’insieme delle sue teorie e pratiche mediche ha ottenuto grande attenzione da parte della comunità scientifica. È autore di numerose pubblicazioni sull’argomento, tradotte in decine di lingue. Ha trascorso alcuni periodi della vita a Ginevra, in Svizzera, negli anni cinquanta. Ha esercitato come psicoterapeuta a New York, Connecticut, Stati Uniti sino ad un anno prima della sua morte.
La bioenergetica parte dal presupposto che ogni individuo disponga di una energia vitale, essenziale sia per una interazione fra corpo e mente, sia per il controllo degli stati fisici e di quelli mentali.


L’energia a cui fa riferimento la bioenergetica è stata definita, a seconda degli influssi culturali, Qi (chi), forza vitale; tra i suoi effetti più facilmente riconoscibili, secondo i terapeuti, vi sono le variazioni del tono dell’umore.
Alcune pratiche orientali come l’agopuntura, lo yoga, il t’ai-chi ch’uan utilizzano concetti analoghi di energia corpo-mente; infatti la bioenergetica, sostengono i terapeuti, rappresenta un ponte fra la filosofia e le discipline fisiche orientali e la psicologia occidentale.


Il termine “Analisi Bioenergetica” implica in sè un qualche concetto di energia. Lowen la chiamò “bioenergia”, in senso generale, distaccandosi dalle teorie di Reich sull’esistenza di un’energia cosmica denominata “energia orgonica”. L’energia di cui parla Lowen non è assimilabile solo alla libido di Freud, ma è l’energia dell’intero organismo, sono i processi energetici in generale che sono alla base della vita e di tutte le nostre attività come essere umani. Già le cellule funzionano tramite processi metabolici che implicano la produzione di energia per assolvere alle loro funzioni vitali, e noi come organismi complessi funzioniamo alla stessa maniera. Introduciamo ossigeno nel nostro organismo tramite la respirazione (precisamente tramite l’inspirazione), che verrà utilizzato, insieme ad atre tipologie di materia assunte e assimilate, nella maggior parte dei casi, tramite l’apparato digerente, per produrre l’energia di cui abbiamo bisogno per sopravvivere.


Tramite l’espirazione e la defecazione espelliamo invece i materiali di scarto e rifiuto. Assume quindi grandissima importanza la respirazione, aspetto che già Reich aveva messo al centro del proprio agire terapeutico. Uno degli obiettivi dell’Analisi Bioenergetica è proprio quello di ampliare la respirazione nel paziente, cominciando dal fargli percepire quanto la sua respirazione naturale sia limitata da tensioni croniche nel suo organismo.


Secondo Lowen i bambini imparano molto presto a reprimere le emozioni spiacevoli trattenendo la respirazione e, se questo meccanismo di difesa diventa abituale, si instaurano nel corpo delle tensioni croniche (a livello diaframmatico ma non solo) che limitano la respirazione e la percezione delle emozioni, soprattutto di quelle contenute nella pancia. Ampliando la respirazione con precise tecniche terapeutiche si ottiene che l’organismo dispone di maggiore energia e che il soggetto comincia a tornare in contatto con le emozioni represse potendo così integrarle all’interno della propria personalità. Parlando di processi energetici è importante sottolineare che per l’Analisi Bioenergetica la personalità può essere descritta attraverso un diagramma piramidale, alla cui base stanno i processi energetici del corpo e, salendo verso il vertice della piramide, si incontrano le sensazioni, le emozioni e l’Io.


I processi energetici sono quindi alla base della personalità, ed è grazie ad essi che si manifestano sensazioni, che possono diventare emozioni che possono essere tradotte in azione tramite le funzioni dell’Io.

A. Lowen, Bioenergetics, (New York, 1975, Coward, McCarin & Georgen Inc.)

Manly P. Hall. Influenze Orientali sulla sapienza greca e i Misteri religiosi antichi

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Manly Palmer Hall fu un celebre pensatore, conferenziere e scrittore canadese, che emigrò negli Stati Uniti d’America, noto in tutto il mondo per centinaia di lavori pubblicati dedicati alla religione comparata, filosofia, e tradizioni esoteriche. In Italia, purtroppo, gravemente trascurato e lasciato all’oblio. Il suo lavoro più famoso è The Secret Teachings of All Ages: An Encyclopedic Outline of Masonic, Hermetic, Qabbalistic and Rosicrucian Symbolical Philosophy (Insegnamenti Segreti di Tutte le Ere: Una delineazione Enciclopedica Filosofica di Massoneria, Ermetismo, Cabala, e Simbolismo Rosacroce ) pubblicato nel 1928 a 27 anni d’età, quando scriveva:

«Le magnifiche istituzioni degli Indù, dei Caldei, e la cultura Egizia, devono essere riconosciuti come la vera fonte della sapienza greca. Questa fu modellata dall’ombra gigantesca proiettata dai santuari di Ellora, Ur e Menfi sulla sostanza di pensiero di un popolo primitivo. Talete, Pitagora e Platone nei loro viaggi filosofici contattarono molti culti lontani riportando in Occidente la tradizione dell’Egitto e dell’imperscrutabile Oriente».

«Da fatti indiscutibili come questi è evidente che la filosofia emersa dai Misteri religiosi dell’antichità non era separata dalla religione almeno fino a quando i Misteri cominciarono la loro decadenza. Perciò colui che volesse scandagliare le profondità del pensiero filosofico, deve familiarizzare con gl’insegnamenti di quei sacerdoti-iniziati, designati quali primi custodi della rivelazione divina».

«I Misteri erano i guardiani di una conoscenza trascendente così profonda da risultare incomprensibile ai più e trasmissibili con sicurezza solo a coloro dotati di un intelletto raffinato e potente, privi di un’ambizione personale e che avevano consacrato le loro vite al servizio disinteressato dell’umanità. Sia la dignità di queste sacre istituzioni, che la validità dell’affermare di essere custodi della Saggezza Universale, sono attestate dai più illustri filosofi dell’antichità, iniziati anch’essi alle profondità della dottrina segreta e testimoni della sua efficacia».

C’erano letteralmente decine e decine di questi antichi culti, con filiali in ogni parte del mondo da Oriente ad Occidente. Alcune, come quelle di Pitagora e degli Ermetici, mostrano una decisa impronta orientale, mentre i Rosacroce, secondo i loro proclami, acquisirono molta della loro saggezza e furono influenzati dai mistici Arabi».

 

Manly P. Hall, Estratti tradotti da: Manly P. Hall, “The Secret Teachings of all Ages”, H. S. Crocker Company, 1928

Frithjof Schuon: accenno di comparazione: l’intelligenza tra Oriente e Occidente

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Frithjof Shuon, filosofo e mistico svizzero, è stato uno dei maggiori esponenti della filosofia perenne. La filosofia eterna che soggiace comune a tutte le religioni, e in particolare alla sua corrente mistica.

«L’Occidentale è superiore agli altri uomini nella sola prospettiva del genio inventivo; ora questo non è che una deviazione – condizionata dall’umanesimo e dalle sue conseguenze – dal genio creatore che, invece, è comune all’Occidente e all’Oriente. L’Occidente prova la sua grandezza con le cattedrali, con le macchine e altre invenzioni che mirano solamente a fini terreni.

Ma l’unico criterio decisivo del valore umano è l’atteggiamento dell’uomo rispetto all’Assoluto, e il meno che si possa dire, in questa prospettiva, è: l’Europero non ha superiorità alcuna.

Non si deve confondere del resto il genio creatore – né in particolare il genio inventivo – con l’intelligenza pura, né con la nobiltà, beninteso. La razza nera non ha avuto senza dubbio Dante né un costruttore del Taj Mahal, ma ha avuto dei santi, e appunto ciò conta dinanzi a Dio.

D’altro canto non bisogna dimenticare che i popoli di civiltà molto “differenziata” e “mentale” sono portati a sottovalutare taluni modi d’intelligenza cui non sono abituati. C’è più intelligenza nei ritmi africani che nel maggior numero dei romanzi psicologici.

Qualsiasi civiltà è decaduta, ma i modi differiscono: la decadenza orientale è passiva; la decadenza occidentale è attiva. L’errore dell’Oriente decaduto consiste nel non pensare più; quello dell’Occidente decaduto, nel pensare troppo, e male. L’Oriente dorme su verità; l’Occidente vive di errori».

F. Schuon, Prospettive spirituali e fatti umani, 2014.